venerdì 19 ottobre 2007

INTERVISTA A PIETRO INGRAO

Tu sei tra quelli che hanno lanciato l’appello per la manifestazione del 20 ottobre. Perché e quale problema metti al primo posto?
Volgo gli occhi intorno a me. E vedo quanto sia tornato pesante la condizione del soggetto lavorativo. Sono una persona molto anziana. E vedo con quale pesantezza sta tornando sulla scena il grande tema della liberazione del lavoro. E mi torna in mente quella canzone- ricordi?- “il riscatto del lavoro/ dei suoi figli opra sarà…” Come sento di nuovo, attuale, bruciante quel canto… E spingo più lontano lo sguardo vedo risorgere la guerra: laggiù in Medio Oriente. E capisco e spero che domani tanti accorrano a Roma, scendano in piazza…
Ma noi italiani ci siamo ritirati dalla guerra in Iraq
Si: anche se tardi e male. In quelle terre ancora oggi la guerra continua. Né si sa se e quando l’invasore americano intenda ritirarsi... e i luoghi in cui ancora oggi la guerra campeggia sono cruciali per l’economia del mondo e anche per il mondo islamico a lungo e rovinosamente oppresso dall’Occidente. Noi occidentali da tempo siamo andati a rapinare in quelle terre. E in un modo o in un altro- gli americani in testa a tutti- l’ingerenza occidentale continua. Io prego i miei concittadini italiani che sabato vadano in tanti a dire: basta.
Eppure il governo italiano continua a sostenere l’apertura di una nuova base americana a Vicenza. E rimanda ai vincoli militari, ai patti con gli Stati Uniti.
Io conosco una legge che per me e per la mia patria sta al di sopra di qualsiasi patto con altri Stati. Sta scritto in Costituzione (articolo 11!) che per l’Italia è lecita solo la guerra di difesa. Quel vincolo è esattamente l’opposto della guerra preventiva praticata da Bush. È vivo ancora quell’articolo 11 scritto in Costituzione? Io il 20 ottobre vado a dire che sì, è vivo, anche se lo farò tremando.
Perché? Che temi?
Perché c’è stato un impallidimento dell’impegno alla pace: nel mio Paese e anche altrove. E sento il bisogno ardente che torni- fra tanti miei compatrioti, e anche al di là- una sete della pace: e valga ad incidere nella vita reale e nell’idea che abbiamo del mondo...
Il 20 potrebbe essere un tentativo di ripresa a partire da questi problemi. Ma c’è un quadro politico difficile, una sinistra frammentata. Cosa pensi del partito democratrico? Lo si può considerare una forza di sinistra?
R: Chiamiamo le cose col loro nome. Prodi e Veltroni- due uomini politici che io stimo- sono chiaramente dei leader “moderati”. E con essi penso si possano stringere utili alleanze, e sviluppare insieme anche progetti di largo respiro. Ma tutti sappiamo e vediamo che Prodi non ha nulla a che fare col socialismo e col pacifismo. Diamo dunque a ciascuno il suo nome. E misuriamo, valutiamo le possibili alleanze contro i comuni avversari, i reazionari dichiarati alla Berlusconi. Ma contemporaneamente lavoriamo a rendere forte e vitale lo schieramento di sinistra, evitando le inutili frantumazioni. Io stimo Di Pietro ma so bene che non ha nulla a che fare con una lettura di classe del mondo in cui vivo.
Dalle banche ai manager dell’industria, al mondo delle professioni... Ma con questo Pd, poi la sinistra che deve fare? Un’alleanza elettorale o no?
Classificarli per quello che sono, senza bugie. So che essi sono contro uno schieramento di destra che in Italia, purtroppo, è forte ed arrogante e tiene forti leve di comando in mano. Non mi scordo Berlusconi. E non voglio, non posso assolutamente rinunciare a un sistema di alleanze che mi dia forza nel combatterlo, e so che Prodi è un moderato che lotta contro i conservatori reazionari. E io - in questo – voglio stringere alleanza con lui. Ma la sinistra di classe a cui sono legato è altro. Muove da un’altra lettura del mondo. Un tempo erano dense di vita le sezioni, le case del popolo, dove si costruivano comunanze, letture del presente, ipotesi sul domani.
Oggi le sezioni praticamente non esistono più o sono semivuote...
Non credo che sia così, ma non ne so abbastanza. E con le mie deboli forze, ostinatamente voglio lavorare alla resurrezione di quei luoghi di formazione politica e di scatto della lotta. E avendo questo non penso solo al calcolo materiale dei voti possibili. Il 20 ottobre noi andiamo a cercare una convenienza più profonda: resto ad affermare come forza, ma anche a costruire una convenzione, una lettura comune della società controversa in cui vivo: compreso il dubbio, l’interrogarsi dubitando: la comunanza nella ricerca.
Oggi invece tutto questo non c’è, ci sono le primarie... Cosa ne pensi?
Ne comprendo poco. So però che per costruire una identità di popolo bisognava fissare regole, se vuoi contare voti, apprendere segni. E comprendo, tutelo anche queste regole. Ma la partecipazione politica è altro e di più. Io ho vissuto un’esperienza in cui la politica si dipanava nella sezione, nella Camera del lavoro, spesso per strada, dove il sindaco camminava, incontrava, rispondeva; e il capo del sindacato semmai litigava col compagno operaio. Pezzi di società, od anche storia di singoli che evolvevano insieme. Il 20 di ottobre scendiamo in piazza anche e molto per comunicare: per conoscerci. Vogliamo, speriamo di parlare anche a chi è lontano e non sa, o dubita.
Magari non è attivo ma potrebbe essere riattivato...
Tu dirigi un giornale di battaglia, come il Manifesto, e ne sai più di me: stai dentro l’urto quotidiano. Però è di grande importanza che in queste brevi ore mancanti all’appuntamento di sabato si discuta sulle strategie, sulle vie su cui intendiamo camminare. E questo come domanda pubblica che la sinistra pone a se stessa e ai suoi alleati. È tardi? Non lo so. Ma si può. E bisogna accelerare il cammino.
E tu quale compito metti al primo posto? Ti rispondo con due parole: la lotta alla guerra.
Ma da quando le truppe italiane si sono ritirate dall’Iraq, anche per l’opinione pubblica italiana la guerra è «scomparsa», l’Iraq è rimosso, l’Afghanistan sembra questione di addetti ai lavori...
Sì, ce ne siamo andati e basta. E invece non si chiede solo questo a noi. Io credo che noi dobbiamo lavorare non solo per spegnere questa guerra infame che continua in Irak. Dobbiamo respingere l’agire armato di massa. E rilanciare le forme civili di confronto , i possibili compromessi, i riconoscimenti reciproci. Anche dubitando. Lo confesso: credo al valore del dubbio, e al confronto con l’altro.
Sì, che rimanda a una pratica dell’umano...
Abbassando un po’ la voce potremmo dire: è una lettura del mondo.

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