lunedì 15 ottobre 2007

La piazza del 20 ottobre: Un'occasione a sinistra

Le “voci” necessarie per cambiare la politica di Bianca Pomeranzi Ho partecipato con convinzione all’appello del 3 agosto, perché ritenevo necessario un “gesto” che riportasse l’attenzione allo spirito del patto pre-elettorale e allo stesso tempo favorisse il processo di creazione di una sinistra, capace di raccogliere e rilanciare non solo il dissenso, ma anche la voglia di partecipazione che si manifesta spesso nel nostro paese. Quindi ho letto con un certo fastidio il dibattito estivo sui grandi giornali d’opinione, dove si accusava quell’appello di massimalismo e di radicalità, cercando in ogni modo di creare divisioni e di addossare ai promotori l’intenzione di voler far cadere il Governo e di sconfessare l’agire di una parte del sindacato. Alla fine mi sembra, tuttavia, che il gran clamore mediatico abbia evidenziato l’importanza della mobilitazione e soprattutto abbia portato alla luce il problema di “come” intendere l’agire politico oggi, in una realtà, come quella italiana, segnata da alcune “specificità” che sono quasi sempre negative, ma che, se osservate meglio, potrebbero forse costituire una buona base di partenza proprio per una sinistra capace di intervenire sulle complessità del presente. La prima di queste è che attualmente tutte le sinistre sono al governo del paese, in una configurazione unica rispetto a tutti i paesi dell’Europa continentale e tra le grandi e medie potenze mondiali. Questo fatto, al di là dei problemi che comporta, ci pone in una situazione di particolare responsabilità rispetto alla attuale crisi della politica. Crisi che, come molte autorevoli analisi hanno dimostrato, è dovuta alle trasformazioni del capitale, che riorganizzandosi su scala globale, ha fatto saltare il sistema di governo delle democrazie liberali basato sulla divisione tra pubblico e privato e tra produzione di beni e riproduzione umana. La cronaca quotidiana, oltre ai molti orrori delle guerre in corso, ci dimostra che in questa fase sono proprio i corpi e le nuove soggettività a creare “disordine” e la politica, quella istituzionale, non riesce a trovare una risposta adeguata alle esigenze di organizzazione sociale poiché le sfuggono i confini del suo stesso campo d’azione e dei processi che sempre più spesso generano nuove violenze identitarie e nuove esclusioni. In questo contesto, le scelte di politica nazionale se pure molto ridotte nella loro ampiezza, sono ancora importanti per individuare soluzioni alternative all’ideologia neo-liberista che pervade l’Europa e le istituzioni internazionali. Soprattutto dopo che la crisi dei “mutui” americani ha svelato in modo inequivoco il meccanismo di impoverimento svolto dai mercati finanziari nei confronti dei ceti medi e bassi della popolazione. Tuttavia per far in modo che soluzioni alternative divengano possibili e condivise occorre saper guardare alle pratiche che vecchie e nuove soggettività sociali, su cui si rovesciano i problemi più consistenti, riescono a individuare. Qui si incontra l’altra significativa specificità italiana che attorno al movimento operaio e al più grande partito comunista “democratico” dell’occidente vide nella seconda metà degli anni settanta mettere in campo forme di democrazia partecipativa e di cooperazione sociale che convivevano con la democrazia rappresentativa.Una sinistra nuova potrebbe rileggere quella storia innovandola, ma soprattutto dovrebbe avviare un “cambio di passo” nella relazione tra rappresentanti e rappresentati. Non si tratta infatti di introdurre forme apparenti di partecipazione che si esauriscono nella scelta di un leader, e neppure di guardare ai “movimenti” nel tentativo di recuperare una base da rappresentare, ma piuttosto di costruire un dialogo sistematico tra gli attori sociali per individuare soluzioni innovative, lasciando esprimere, anche a livello nazionale, capacità e energie che spesso nei contesti territoriali operano con successo.La politica istituzionale, che è in crisi soprattutto per la sua perdita di senso poiché le sfuggono i confini della stessa area di riferimento della sua azione, dovrebbe avviare una riconsiderazione approfondita sui propri assetti decisionali, ripensandoli a fronte delle nuove soggettività che, se pure frammentate, possono ridare senso all’agire collettivo. Questo significa fare in modo che gli obiettivi dell’azione politica nascano attraverso un processo partecipativo, rompendo lo schema del basso/alto e favorendo analisi a più voci della crescente sovrapposizione tra politica e vita degli individui. Non è facile, ma è possibile e proprio il 20 ottobre potrebbe essere un buon terreno d’avvio su questa strada.Il recente successo di mobilitazione del movimento gay, lesbico e queer, dovrebbe far ripensare cosa significano oggi i “diritti civili” per l’agire collettivo e come, assieme ai “diritti sociali” possono modificare e ridisegnare nuove forme di società.Su questo si gioca un’altra delle specificità italiane dove sin dagli anni settanta il femminismo, allora capace di esprimere un “movimento” di donne, mise in questione la separazione tra privato e politico a partire un soggetto, rimosso e non nominato, che prendeva parola sul proprio destino, mostrando la necessità di un ripensamento complessivo su “cosa” è la politica. In politica infatti, le aperture alle donne sono state concepite solo come delle estensioni, lente e faticose, del regime dei diritti da parte dei poteri esistenti, ma mai come assunzione di nuovi valori, né tanto meno di nuovi processi e forme di relazione. Le culture e le pratiche del femminismo, che su questo hanno accumulato pratiche e saperi, possono fornire in questo momento una buona interlocuzione per una sinistra che voglia ripensare i confini della politica e riconquistare la capacità di coniugare l’aspirazione all’uguaglianza e la possibilità di far convivere le differenze.Quello che occorrerebbe adesso infatti, a una sinistra non solo resistenziale sarebbe la capacità di portare nel discorso pubblico e con pari dignità obiettivi che possano unire politica e vita. L’appello di agosto voleva spostare l’attenzione proprio su questi argomenti. Perciò ho aderito e perciò mi auguro che il 20 ottobre saremo in grado di dare spazio alle voci e di costruire ponti tra questi “mondi diversi”. Senza questo non c’è politica e non c’è neanche sinistra.
Bianca Pomeranzi

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